Mario Francese, esempio di giornalista serio e corretto
 

Se credete che tutti i giornalisti siano semplicemente i portabandiera di questo o quell’altro partito politico vi sbagliate di grosso. Certo, osservando il panorama contemporaneo sembra difficile credere in questa verità, eppure ci sono centinaia di professionisti che svolgono con dedizione e cura il loro mestiere, contribuendo a fornire un servizio serio e obiettivo, spesso anche pericoloso e indispensabile per la nostra società, dove le informazioni sono divenute la nuova frontiera della ricchezza, capaci di fomentare o distruggere i rendimenti delle azioni finanziarie, abbattere o rafforzare governi, portare alla luce verità altrimenti inconoscibili e destinate a soffocare sotto la coltre di corruzioni e malaffare. Per tutti quei giornalisti che svolgono la loro professione come un servizio a tutela di libertà e democrazia, c’è una figura che offre un grande esempio di dedizione e coraggio, quella di Mario Francese.
Nato a Siracusa il 6 febbraio del 1925, Mario Francese nonostante potesse svolgere un adagiato lavoro all’interno dell’ufficio stampa dell'assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana, preferì dedicarsi interamente alla sua attività come giornalista d’inchiesta presso la sezione palermitana del Giornale di Sicilia. Francese decise di seguire la cronaca giudiziaria in un periodo di fuoco quale il decennio degli anni ’70, in cui l’ascesa dei corleonesi, allora guidati da Luciano Liggio, inizia a scuotere le fondamenta della mafia e della politica siciliana. Francese era un vero segugio, capace di collegare fatti e personalità anche quando i nessi sfuggivano persino alla magistratura. Il suo lavoro non era caratterizzato solo dal suo acume e dalla sua abilità investigativa, ma anche da una sproporzionata dose di coraggio che lo portava a fare nomi e cognomi dei criminali di volta in volta invischiati nelle inchieste da lui condotte. Erano anni di sangue, in cui lo Stato palesava la sua incapacità di fronte alla perversa connivenza tra mafia e politica, che portava ambedue i settori a prosperare e arricchirsi a scapito del bene comune e della giustizia. Eppure Francese non si perse d’animo, ma con caparbietà e professionalità ricostruì i gangli delle speculazioni edilizie portate avanti dalla mafia nella costruzione della diga del Belice; fu il primo a parlare di commissione a proposito del vertice della cupola mafiosa; si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari e dell'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo; arrivò persino a intercettare in tribunale Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, per intervistarla. Nelle sue inchieste entrò profondamente nell'analisi dell'organizzazione mafiosa e dei contrasti interni alle cosche, facendo chiarezza sulle famiglie e i capi, in particolar modo sui corleonesi legati a Luciano Liggio.
A Mario Francese, che venne assassinato il 26 gennaio del 1979 perché divenuto pericoloso per gli interessi di cosanostra, oggi è dedicato un prestigioso premio giornalistico. Per tutti coloro che intendono seguire seriamente la professione di giornalista, a servizio della vera informazione e delle responsabilità che essa comporta, Mario Francese resta e resterà sempre un fulgido esempio di lotta e speranza.